TRADIZIONE
La sartoria napoletana
Iniziamo dal principio della storia della sartoria napoletana
È il 1351 quando, nella chiesa di S. Eligio al Mercato a Napoli, nacque la Confraternita dei Sartori. L’eleganza partenopea prende forma quando Napoli è al culmine dello sfarzo, capitale del Regno delle due Sicilie, centro socioeconomico, punto di riferimento della moda non meno di Londra e Parigi. Alla fine del 1400 a Napoli fioriscono piccole industrie di lana e seta proponendo tagli e tessuti ambiti in tutte le corti europee.
La scuola sartoriale napoletana si sviluppa principalmente nel corso di questi anni, dal momento in cui molti maestri sarti sono chiamati a lavorare per la corte aragonese. Francese Bernardo Plastet diventa il sarto personale di Ferdinando I; Spagnolo Alvaro di Salamanca ha progettato la stola dell’Ordine Equestre di Nostra Signora delle Giarrette; Francese Giovanni Peticto è stato scelto come il sarto personale del Duca di Calabria (preciso che i nomi pseudo spagnoli di questi sarti purosangue napoletani erano imposti dal dominio aragonese).
Il 1400
Nel corso del 1400 la scuola sartoriale napoletana fiorì. Ai sarti Napoletani spesso veniva chiesto di andare a lavorare in altre città, spostandosi fino a Milano. I sarti napoletani erano anche i primi a lanciare il menswear ready-to-wear. Fino ad un secolo fa nella cappella dedicata a San Michele Arcangelo all’interno della chiesa di Sant’Eligio al Mercato c’erano i ritratti di due sarti, Angelo Sicignano e 12 Romano di Stefano. Lo storico Carlo Filangieri in uno scritto documenta come i due sarti tagliavano abiti per poi venderli in diverse città, donando una parte dei proventi alla chiesa come regalo
Dal 1600 al 1800
Nel 1611 ci sono stati 607 sarti registrati a Napoli, tutti autorizzati al lavoro di sartoria e riconosciuti dalla confraternita. Tuttavia, diciamo intorno alla metà del 1600, la scuola sartoriale napoletana ha iniziato a perdere clienti e di prestigio. Tra il 1700 e il 1800 la moda napoletana languiva: ricchi proprietari terrieri, mercanti e membri dell’aristocrazia indossavano abiti considerati completamente fuori moda in centri importanti come Milano, Londra e Parigi. La corte Borbonica respingeva la moda francese del momento a favore di
tendenze locali aggiungendo dettagli fiammeggianti per i loro abiti piuttosto che seguire le linee pulite e pure.
E’ molto lunga la storia della sartoria maschile napoletana. E’ piena di grandi nomi e di grandi storie. Di famiglie che hanno iniziato in piccole botteghe e che ora sono a capo di grandi industrie. Sono i grandi sarti poi a fare grande Napoli nell’Ottocento: l’estro, l’incomparabile manualità, l’opulenza dei negozi e la raffinatezza delle stoffe affascinano re e capi di stato. Le strade della città accolgono la nobiltà europea e i sarti la vestono di nuovi tagli e colori, dettando le tendenze dell’epoca.
La sartoria napoletana nel 1900
Fino al 1930 il gusto napoletano si identifica in prevalenza con quello anglosassone, ma negli anni successivi quel rigore irremovibile e intransigente dell’eleganza inglese tra le mani dei napoletani comincia ad alleggerirsi, lasciando spazio al comfort.
Le giacche si accorciano, le linee si ammorbidiscono, i tessuti, anche quelli più pesanti, sono trattati con tale sapienza da risultare confortevoli e portabili. Un rapido rinnovamento dettato e imposto dall’altissima qualità artigiana dei nomi che si sono imposti sulla scena sartoriale partenopea.
Riconosciuto di diritto quale capostipite è Salvatore Morziello che, fin dall’inizio del secolo, gestisce in via Chiaia la più importante sartoria maschile napoletana: è qui che veste il primo presidente della Repubblica De Nicola.
È nelle grandi sartorie napoletane che i personaggi della politica e dello spettacolo trovano il loro punto di riferimento di stile ed è nelle boutique di moda mare a Capri, Ischia e Positano che famose personalità e membri del jet set internazionale si vestono di glamour.